ORE di CARTA


di Maria Giovanna Scarale

È come avere inchiostro nelle vene, è come essere più partecipi al mondo, ma allo stesso tempo, più lontani da esso. Scrivere è qualcosa che si ha nel sangue, a volte è una parte così integrante di noi, che la sottovalutiamo, oppure non la consideriamo, pensando che sia del tutto normale il nostro modo di guardare le cose.

Si inizia scrivendo per se stessi, con vergogna si nascondono le parole partorite, come se fossero il frutto di un amore fedifrago, poi si passa all’autocritica e da lì si arriva all’orgoglio, al voler mostrare a tutti il mondo visto con i nostri occhi, e poi, quando si raggiunge una sorta di maturità si desidera condividere a trecentosessanta gradi.

È esattamente in questa fase che si colloca la scrittura collaborativa.

Più menti in connessione che CREANO: è un vero e proprio miracolo.

È terapeutico, a volte, mettere da parte il proprio Io per dar spazio a un Noi più imponente e forte.

È una forma di accrescimento stilistico ed emotivo ed è anche una grande sfida per la creatività. Esplorare sentieri che non avremmo mai percorso altrimenti e cimentarci in trame scoscese e ripide come montagne.

Su “La Terza Stanza” un principio di scrittura collaborativa aveva regalato a scrittori e lettori dolcissimi frutti, perché, allora, non riprovarci?

Senza alcun limite, appena qualche riga per creare una storia che sembrerà muoversi ed evolversi con vita autonoma.

Questo sarà l’incipit:

Al mattino, poco prima di alzarsi, teneva il respiro per un istante e cercava di abbandonare su quel letto i pensieri cattivi. Avrebbe voluto svegliarsi ogni giorno senza pregiudizi, avrebbe voluto poter giustificare ogni giorno, con una scusa sempre diversa, le azioni di quella, che un tempo, era la sola ed unica donna nella sua vita. Sentiva benissimo, però, la musica distorta di quel carillon rotto e gli sembrava che quella ballerina di plastica piegata su un fianco, non fosse altro che il feticcio di quell'amore svuotato.

Sta a voi ora continuare… e se volete avere spunti e scrivere in modo collaborativo, visitate “ORE DI CARTA” (http://www.facebook.com/pages/Ore-di-carta/180823042026885?sk=wall), commentate e partecipate attivamente al grande spettacolo della CULTURA, COLTIVATE le vostre penne come se fossero orchidee preziose e delicate, non permettete che appassiscano e, quando saranno fiorite, mostratele al mondo, inebrieranno, con i loro colori e i loro profumi, le menti che dormono e regaleranno freschezza a quelle che aspettano.

Non ponete mai freno alla vostra cretività!

Posted by Francesco Saverio Simone on 00:31. Filed under . You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0

2 commenti for ORE di CARTA

  1. Indubbiamente doveva cambiare pagina. Niente più incontri al buio, niente più mistero... D'ora in avanti tutto alla luce del sole si sarebbe svolto, anche se la vita, a venti anni, è esigente...

  2. Esigente proprio come quella sveglia che sembrava urlare ad ogni drin un "ALZATI!" più acuto.
    Quella mattina gli sembrava tutto più azzurro del solito. Si alzò con un infantile desiderio di primavera. Aprì la finestra e tirò su un grosso respiro, uno di quelli che ti riempiono il petto fino alla sua massima estensione. Fu come sentire, per la prima volta, il profumo dei gelsomini in fiore. Quell'aria aveva in sè qualcosa di strano e inebriante che perfino il gatto iniziò a stiracchiarsi sulla finestra.
    Si vestì in fretta e corse in ufficio. Era già in ritardo, ma quel giorno non gli importava. Sapeva che era uscito con uno scopo primario, anche se non sapeva ancora quale. Si soffermò per la prima volta sull'ingresso dell'alto palazzone di vetro che sarebbe stata la sua gabbia per tutta la mattinata (e che lo era, costantemente, da sei anni) e si voltò. Sul prato lì di fronte c'era una giovane mamma che parlava al suo bambino. Sorrise in modo isterico e pensò che se avesse visto quella scena qualche giorno prima l'unica cosa che avrebbe pensato sarebbe stata: "che idiota! Perché gli parli? Lui non può capirti!".
    Invece quella mattina, il suono di quelle ripetitive e allegre lallazioni sembrò elevarlo dal suolo. Era come se quell'ansimante balbettio gli avesse finalmente fornito la chiave, la risposta a quella domanda che da sempre si poneva, che gli faceva trascorrere gran parte delle sue notti con gli occhi sbarrati: "Perché sono qui?".
    Diede un ultimo sguardo a quel miracolo e poi, in tutta tranquillità, scomparve dietro il portone specchiato.
    -LaJuice©-

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