David e i fulmini


di Natty Patanè

Una sera di quelle che passano e avvolgono come un ruvido manto, il buio s’interrompe in improvvisi rigurgiti di fulmini, si inseguono e illuminano il cielo che si stende verso Brindisi e, devo essere sincero, non ho idea se son seguiti da tuoni perché continuamente si ripete la voce di David Bowie che canta five years. La strada si interrompe su due transenne che mi fanno deviare per una viuzza che si fionda tra ulivi secolari. E’ una lingua sinuosa come un tratto di biro su un foglio, ferisce quasi il disordine degli ulivi.

- Ecco! Potrei essere chiunque, perso nel nulla, con direzione incerta -

ma le mani sul volante mi riportano nell’abitacolo dove mescolo note, ricordi e luci d'auto

- che stronzo! Mi stai proiettando contro dal tuo SUV le tue schifose luci abbaglianti

rallento, che forse sarebbe pure ora di smetterla di arrivare in anticipo.

Mi hai chiamato ieri notte proprio mentre Lucilla mi poggiava le lenzuola, profumate di erbe aromatiche secche, tra le braccia e con gesto rapido apriva il divano letto.

- Ma quanto hai bevuto? Non ti reggi in piedi

Mi diceva sorridendo divertita dai miei risolini inebetiti proprio quando il telefono ha squillato e alle 3 di notte la prima cosa che hai avuto da dirmi è stata:

- Da quanto tempo!

E già, quanto tempo, l’ultima volta sarà stata tre anni fa, chissà, forse quattro, ma da troppo tempo ho smesso di misurare il tempo e collezionare immaginette virtuali. Però ricordo.

Ora in cielo neanche quelle stelle che, nei versi dei poeti, nascondono i sorrisi degli amanti.

Era notte, come quella che sta arrivando adesso, era notte ma di pieno inverno, ancora una volta era l’auto a fare da scenario, lenti si tornava, un po’ storditi dall’aperitivo e dalla gioia di vedersi ancora, strappando parole e attimi alla quotidianità. Un mondo a parte, fuori da ogni geografia, si sorrideva e ti guardavo guidare

- Chissà come dovrei definirmi adesso

Cercavo nelle parole e in un sostantivo di fissare quello che eravamo

- Intendo cioè, chi sono io in relazione a te!

Si era alzato il vento quando arrivammo, la signora Traud sorrideva sulla porta, il viso dagli occhi stanchi incorniciato dalla immancabile fascia beige, un grembiule pulitissimo e i suoi calzini in bella mostra nei sandali di legno. Con il suo inconfondibile accento tedesco ci indicò il tavolo e ordinammo due pizze. Le tamerici ondeggiavano aspettando pazienti che tornasse il tempo dei villeggianti, dal mare veniva un effluvio salmastro e ci sembrava che lo avremmo sentito da li alla fine dei giorni.

Due giorni dopo, ai saluti, le solite promesse

- Quando ci rivediamo?

- Prestissimo di sicuro!

E qualche ora dopo non eri più neanche una voce al telefono.

- Da quanto tempo!

Che assurdo modo di ricomparire dal nulla! Per qualche attimo mi son perso a sfogliare pagine e memorie piene dei tuoi occhi verdi poi ho deciso di tuffarmi tra i profumi forti di campo estivo che mi offrivano le lenzuola di Lucilla, ho guardato il candelabro che io e lei abbiamo fissato al soffitto qualche tempo fa e ho socchiuso gli occhi.

La strada si apre, e corre, come tutte le storie che rotolano e rimbalzano nella mia testa, le cose cambiano e, per quanto io rimetta per decine di volte lo stesso brano, anche l’autoradio scosta la monotonia dei pensieri. Niente più Bowie per stasera, sto per arrivare e la pioggia comincia a scrosciare, un’altra notte, una notte in più.

Posted by Francesco Saverio Simone on 12:42. Filed under . You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0

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