La cena


di Natty Patanè


sottofondo musicale consigliato: "Not in that way" - Sam Smith


           Sebastiano passò due dita sul vetro, una curva disegnò una parte del suo viso tra il vapore, peli grigi, qualche ruga, occhi verdi, gli stessi, forse.
          Aprì la finestra per bene e aspettò qualche istante che il cambio di temperatura lo facesse riemergere. Nel silenzio gli sembrò di sentire il suo respiro, ritmico, ipnotico a cullarlo, vi si lasciò andare e si fece trasportare in un tempo in cui l’immagine che vedeva era ben altra e, nel chiedersi chi avrebbe rivisto quella sera, chi avrebbe riconosciuto, cominciò a ripetere a se stesso:
               -  Trenta anni
       Sciolse l’asciugamano che teneva ancora in vita e cominciò a frizionare i capelli, quasi sorrise ripensando a quando erano un fiume riversato sulle spalle, grondanti, lunghi e ondulati e per asciugarli ci voleva quasi un’ora di phon o un bel giro in vespa, magari lasciando guidare qualcun altro per litoranee e lungomare, per tornanti contornati di blocchi lavici e rettilinei che ferivano agrumeti schiusi all'olfatto nelle notti estive.
        Crema dopo barba, spalmata, piano, occhi ancora arrossati dallo shampoo, uscì dal bagno, ciondolò un po’ tra valigia e sedie dove aveva sparso una parte del suo bagaglio poi distrattamente prese dei vestiti e li poggiò sui cuscini mentre i suoi occhi si posarono ancora sulla vecchia foto, un rampicante aveva aggredito pesantemente la balaustra di ferro battuto, sfiorando il terrazzo, le mezze colonne in pietra ospitavano i gomiti colorati di felpe e tute, sette ragazzi sorridevano guardando in giù, evidentemente qualcuno era sceso e ai piedi delle scale li fotografava, si riconobbe nel ciuffo morbido di capelli e nell'espressione triste quasi cancellata dal tempo, accanto a lui Giada sorrideva. Oggi era quasi identica, stesso modo di sorridere, forse lievemente venato della rabbia degli anni, ma ancora pieno e comunque tenero. L’acqua ferma e blu della grande vasca rimbalzava su loro due una sensazione di calma che strideva con il silenzio di tanti anni che stavano squarciando.
        Rigirò ancora un po’ la foto tra le dita, forse anche Dario sorrideva, sicuramente sorrideva Carmelo, questa sera li avrebbe rivisti, almeno così gli aveva detto Giada, ci sarebbero stati.
         Dalla custodia grigia tirò fuori il suo profumo preferito, poi indossò l’orologio e, infine, il bracciale nero,
              -  chissà cosa penserebbero i miei vecchi compagni di scuola se sapessero chi me lo ha regalato -
pensò ironizzando sui suoi pensieri, poi lasciò la stanza poggiando il giubbotto sulla spalla e andò a ritirare la sua macchina dal garage, bianca, come la sua prima 500 scassata che si arrampicava per le stradine di montagna quando in autunno, insieme ai soliti compagni andavano a raccogliere castagne finendo poi a far le lotte fra le foglie morte. Avrebbe avuto voglia di una capote da aprire ma la sua attuale macchina non ne aveva, si accontentò così di una banalissima aria condizionata che lasciò al minimo per non disturbare troppo la musica che aveva scelto per farsi accompagnare alla cena, dall’albergo al locale che qualcuno aveva scelto. Malgrado gli anni gli sembrava di riconoscere ogni angolo, magari cambiati i colori, la destinazione degli immobili ma immutata la forma della città, stanca e malinconica come una anziana che guarda le auto passare dietro ad un vetro di finestra. Via Galatea, il viale, i semafori, la litoranea e le luci che a destra disegnano tutta la costa, alzò il volume fino a far vibrare il sedile, quasi a cancellare ogni rumore che potesse ricordargli la data e distoglierlo dalla fantasia di rituffarsi nel passato, per un attimo, per quel breve attimo che la solitudine prolungava e rendeva senza un limite ben preciso.

       Poi improvvise, le luci della sala, profili che lasciavano intravedere i ragazzi che erano stati e che non erano più

Posted by Francesco Saverio Simone on 04:10. Filed under . You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0

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