Dilettarsi di musica


Giuseppe Gavazza



Dilettarsi di musica

Riprendo il tema del diletto musicale già presentato nel post del 12 settembre 2009 (http://terpress.blogspot.fr/2009/09/diletto-musicale.html)
Negli ultimi giorni ho avuto occasione di partecipare ad alcuni concerti amatoriali: uno a casa di amici che hanno un figlio che studia pianoforte in un importante Conservatorio straniero, uno di un coro femminile in un paesino di fronte alla bellissima catena montuosa di Belledonne, uno - in una piccola antica chiesa il cui sagrato guarda a ponente al massiccio del Vercors - di studenti di Conservatorio e scuole di musica locali impegnati in tre giorni di maratone pomeridiane e serali su repertori anche di grande livello e difficoltà.
Mi sono chiesto, come faccio spesso: chissà se le folle che accorrono a fare code pagando biglietti costosi per partecipare al rito del divo sarebbero in grado di distinguere il concerto del divo da uno dei migliori di questi dilettanti ? Mi sono risposto: molte volte si, qualche volta no. L'effetto placebo negli eventi mediatici non é considerato: quanto conta l'aura di un evento nella percezione e valutazione dell'evento stesso ? (ho rivisto ieri sera un bellissimo film al riguardo : “
Mana: the power of thingshttp://www.mana-the-movie.com)

Certo il livello tecnico e interpretativo é ben diverso nei due casi: il grande professionista, quale é (quasi) sempre la star (chi é del mestiere non corre il rischio di investire su un brocco) e il dilettante-amatore; resta il fatto, per me, che ciò fa veramente la differenza tra i due mondi é l'aura che li circonda. In un caso un rito iniziatico, con un artista lontano e inavvicinabile, un alieno sacerdote/vittima di una macchina commerciale e mediatica; nell'altro un mondo umanissimo, fatto di persone, emozioni, momenti di impaccio e difficoltà, paure, sguardi di amicizia, sguardi persi e ritrovati, bambini distratti e bambini attentissimi e momenti di grande commozione musicale.
Mi sono anche chiesto: perché pochi di quelli che accorrono al concerto della star non si sentono curiosi, talvolta, di andare ad ascoltare anche i dilettanti, i giovani, gli amatori e i futuri professionisti che propongono repertori simili, in sale spesso a portata di mano, non affollate e non costose (spesso gratuite)?
Qui non mi sono dato una risposta perché non voglio credere che sia solo il fatto che per farlo si dovrebbe attivare il cervello e smuovere la pigrizia della routine, quella che vien così ben smossa dalle strategie dei “creativi” pubblicitari e della comunicazione.

Stralcio qui dal mio precedente articolo:
Ricordo una frase del grande violoncellista Alain Meunier (riferitami dall'amico Enrico Correggia) che, durante le prove di un concerto a Torino, diceva: “
Mi considero un dilettante di musica, perché la musica per me è un diletto”. Proprio lui che - vivendo di musica tra Parigi, Praga e il centro Italia – ha suonato e suona con tutti i più grandi musicisti del nostro tempo.”
Bisognerebbe riflettere di più su cosa è e cosa potrebbe (dovrebbe) essere la musica: un'attività sociale e dilettevole. Intanto attività e non passività quindi da fare (suonare) prima che da ascoltare, e poi da farsi con la gioia del dilettante. Però la musica fatta, attiva non rende e non vende, anzi: se si spendessero le serate a far musica assieme si guarderebbe meno tv, si andrebbe meno per stadi e anche per cinema e teatri, e poi si correrebbe il rischio grandissimo di avere molte persone che ne capiscono qualcosa e vendere patacche diventerebbe più arduo.

A distanza di 6 anni la penso sempre di più così, e aggiungo in merito una frase letta sul dorso di un libro appena comprato: la musica, in quanto arte, non solo attività dilettevole.

« Cosa possiamo chiedere all’arte? Di decorare i nostri appartamenti, come Picasso s’indignava si volesse fare con i suoi quadri? Permetterci l’evasione? Ritrovare una percezione nativa delle cose? Provare un piacere disinteressato? Forse …. ma potrebbe anche servire, semplicemente, a farci pensare. » (*1)


Giuseppe Gavazza 7 luglio 2015

*1 - “Que peut-on demander à l’art ? Décorer nos appartements, comme Picasso s’indignait qu’on veuille le faire avec ses peintures ? Nous permettre de nous évader ? Retrouver une perception native des choses ? Éprouver un plaisir désintéressé? Peut-être… Mais il peut aussi servir, tout simplement, à nous faire penser.”


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