Il passo dell'ussaro


di Natty Patanè




sottofondo musicale consigliato: "Time is on my side" - Rolling Stones e "Somebody" - Depeche Mode
   
     Il cortile era già da un po’ invaso da un forte sentore di soffritto. Cipolle, carote, sedani sembravano materializzarsi, li, tutti sul davanzale aperto al tramonto di fine estate. Dai piani superiori voci di bambini oscillavano tra capricci e richieste di coccole.

       Fissava il vuoto e pensava che tutta quell’esplosione di vita non riusciva a seguire l’effluvio dei vegetali saltellanti nell’olio di chissà quale cucina e si fermava a due soffi dalla sua finestra, lasciandolo ai pensieri e al silenzio.

       Non c’era neanche rabbia, solo un senso di paralisi, avrebbe potuto rimanere seduto sul divano per ore e, se lo chiese, forse erano ore che fissava un punto irreale nel muro.

    Ci vide correre nuvole grigie e scrosciare di piogge come a sperare che l’acqua potesse, banalmente, sciogliere la sua tristezza. Si chiese se almeno le lacrime di cui ricordava lo scorrere tiepido sulle sue guance e addirittura quasi il sapore sulle labbra, avrebbero potuto liberarlo ma anche quelle disertavano il suo volto e la sua casa.

       Per un attimo pensò di sentirsi come se ogni cosa della sua vita si fosse sgretolata quella mattina in un ovvio e scontato addio. Questo pensiero gli fece spostare lo sguardo dal muro fino alla sedia dove aveva stazionato per giorni la giacca blu. Gli aveva detto così tante volte di metterla a posto ma mai avrebbe pensato che il suo posto non fosse quello che per alcuni anni aveva avuto nei mesi in cui non era usata. Ora avrebbe proprio pagato per rivederla li, disordinatamente sulla sedia e avrebbe rivoluto indietro anche i fogli pentagrammati sparsi sulla scrivania e quella voce che d’improvviso sentiva esplodere dalla stanza accanto 

- Ecco, vedi, li ho trovati, disordine, disordine ma io ci trovo tutto, sei tu che lo vedi come disordine -

E poi il sorriso suggellava la pace incombente. Talvolta si accoccolava alla giusta distanza per permettergli di suonare la chitarra e puntualmente, dopo uno o due o tre o mille brani finiva con la sua preferita, e bastava che pronunciasse la prima nota, la prima lettera di quel “time” dalla i prolungata per farsi travolgere dal vecchissimo successo degli Stones e dall’amore.

       Ma all’assenza doveva abituarsi, lo ripetè nella sua mente, mentre dalla porta della stanza da letto si apriva uno scorcio dritto sul cuscino, vuoto e che sarebbe rimasto tale.

     Certo non poteva dire che quell’uscita di scena fosse improvvisa o inaspettata, da tanto tempo se lo ripeteva, come un esercizio

- Per essere pronto quanto succederà -

Si diceva, ma in cuor suo sapeva che non lo sarebbe stato pronto e ora poteva dire che aveva ragione. Ma intanto, spesso, si era ripetuto che quel giorno sarebbe arrivato ed altre spalle, altri cuscini, altri respiri avrebbero fornito riposo, desiderio, essenza.

     Il passo pesante della vicina che cominciava a calpestare pesantemente il cemento del cortile gli fornì un appiglio per non sprofondare nell’angoscia. Strideva la pesantezza di quel passo, che sembrava battere il tempo come un vecchio ussaro un po’ ebbro appena sceso da cavallo, con la voce stridula che al telefono con chissà chi ripeteva ossessivamente un nome, sempre lo stesso, e scandiva una lunga teoria di psico-farmaci.

     Questa volta non ci sarebbe stato ritorno, il tempo delle illusioni era passato ormai da molto per poter fantasticare di volti affranti e di porte che si riaprivano. 

      Decise di uscire ed avviarsi verso il mare. 

   Mentre ruotava la maniglia quasi immaginava un’altra stagione tanto che rimase quasi stupito nell’accorgersi dell’aria ancora calda che lo investì. 

    La città si acquietava pian piano persa dietro aromi di focacce appena sfornate, di basilico e di uova fritte. 

    Il mare sciabordava tenuemente, si poggiò alla balaustra di ferro spesso e posò il mento tra le sue mani. 

    Una nave da crociera disegnava il suo profilo in lontananza, decise di immaginare che per mare il suo amore si allontanava e, anche se si sentiva estremamente stupido, accennò un saluto proprio mentre qualcosa di umido rimbalzava veloce sulle sue guance.

Posted by Francesco Saverio Simone on 10:57. Filed under . You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0

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