INCOMUNICABILITA L'ultima chiamata


L'ultima chiamata

Saranno state all'incirca le ore sei e trenta del mattino. Me ne stavo comodamente seduto sul terrazzo a sorseggiare il primo caffè della giornata, con il mio fedele smartphone in mano, un auricolare nel timpano e l'altro penzoloni sul collo.
Nulla di nuovo per me, che amavo salutare le mie nuove albe più o meno sistematicamente. Ma quella mattina, la batteria del mio cellulare segnalava un imminente spegnimento a causa della batteria agli sgoccioli, che la precedente serata a base di ore piccole sul letto in sua fedele compagnia, mi aveva visto vittima di un colpo di sonno improvviso e di una conseguente dimenticanza da parte mia nell'attaccarlo a quella macchinetta in grado di tenerlo in vita, il caricatore.
Mi scappa un'imprecazione veloce, ma con uno scatto felino degno di nota, mi avvio in casa e mi accingo a compiere il mio dovere. La seconda imprecazione di quella singolare giornata cominciata già malamente, arriva quando urto il dito mignolo del mio piede destro contro lo spigolo della gamba del tavolino in cucina, mentre la terza, si libra nell'aria quando mi accorgo di non trovare il caricatore dove sono solito lasciarlo, vale a dire sul piccolo comodino accanto al letto della mia camera. Con un piccolo sforzo di concentrazione però, afferro il pomello del cassetto sottostante e gioisco di me stesso quando lo vedo, lì, bello come il sole! Decido di non perdere altro tempo, infilo nella presa la spina, attacco l'aggeggio al mio cellulare e me ne torno in cucina, sospirando al pensiero del caffè ormai freddo sul tavolo del terrazzo, e armandomi di santa pazienza per prepararmene un altro, nero e bollente con una sottile crema in superficie, con la mia bella macchina per caffè. Detesto la moka, mi fa perdere tempo e poi non mi piace interrompere le mie attività, soprattutto quando sono in rete. Le mie mani, prive di quel senso di potere che si prova, quello di chi ha il mondo intero in mano, ora tremano un po', tuttavia me ne torno sul terrazzo col mio caffè e i miei pensieri, in attesa che il mio fedele compagno recuperi un minimo di energie per accompagnarmi in questo nuovo giorno della mia vita. Fu nell'istante stesso in cui mi sedetti, che mi tornò alla mente un episodio piuttosto curioso, un fatto certamente accaduto qualche tempo prima, ma del quale non avrei saputo proprio rammentare il periodo esatto in cui era successo. Non che avesse molta importanza comunque, però nel tornarmi alla mente, il mio intero corpo aveva cominciato a sudare ed il tremore ad aumentare pericolosamente, fino a percepire il principio di un formicolio via via più diffuso dalla punta dei capelli a quella dei piedi. Anche la testa prese a girare e a quel punto, me la presi per le mani nel disperato tentativo di fermare il vortice che mi stava risucchiando. Bizzarro però, ma in quel momento di assoluto malessere, il mio unico pensiero era per il mio compagno. Ad ogni buon conto, alla fine, seppur con una lentezza esasperante, avvertii la testa e il corpo rallentare la loro corsa. Quando fui sufficientemente certo di aver riacquistato almeno una parte della padronanza di me stesso, mi decisi ad aprire nuovamente gli occhi. E, incredibile ma vero, mi trovavo esattamente nel luogo e nel fatto che mi era tornato alla mente solo poco tempo prima, sul terrazzo. Riconoscevo le vie del centro della mia Milano e il quotidiano caos del traffico di automobili e di persone che in pieno mattino, si muovevano qua e la, ognuno verso la propria destinazione. Mi vidi fermo ad un semaforo, aspettando il via che una luce verde mi avrebbe dato di li a poco, per attraversare la strada. Testa e occhi guardavano in basso, e quasi mi invidiai in quella visione di me, completamente appartata dal resto del mondo, ma con quello stesso mondo, in mano. Il mio compagno... Improvvisamente, la mia attenzione fu catturata dalle grida stridule di una donna che sembrava guardare e agitarsi, proprio nella mia direzione, intimando di fermarmi. Davanti ai miei occhi e nei meandri della mia memoria intanto, cominciarono a fluire i ricordi degli anni passati. All'epoca del fatto che vi vado narrando, di anni ne avevo una quarantina, almeno quindici degli ultimi, spesi sui vari siti d'intrattenimento e sui social del momento. Rammentando foto di ogni sorta, dal cibo agli oggetti più assurdi, dai selfie agli status istantanei e altre cose simili, rammentai anche gli innumerevoli inviti degli amici, magari per un caffè o un ristorante da me rifiutati, i libri comprati e mai sfogliati, le chiacchiere o le domande a cui non avevo mai risposto. E mentre un velo di tangibile tristezza si andava impadronendo della mia anima, spostai di nuovo lo sguardo su quel me, preso dal suo fedele compagno, dimentico del resto del mondo, che credevo erroneamente di tenere in pugno. E mi vidi. Sdraiato sull'asfalto freddo di Milano, senza vita, e quel compagno ancora in mano.


Vanessa Sulpizi


Posted by Francesco Saverio Simone on 10:38. Filed under . You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0

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